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Il lavoro di vivere

27.10.2014 22:02

Il dramma, sebbene in forma di commedia, di una coppia in crisi di mezza età e il crollo esistenziale di un uomo che sente di essere prossimo alla morte. La pungente ironia, lo humour non sempre elegante e il ritmo drammaturgico dello spettacolo di Hanoch Levin, in cartellone al Franco Parenti da martedì 28 ottobre a domenica 21 dicembre, sotto la direzione di Andrée Ruth Shammah, lascia allo spettatore molte chiavi di lettura. Numerosi richiami specifici alla cultura ebraica del post Shoah ma anche messaggi universali chiari che il dissacrante drammaturgo israeliano decide di mettere sulla scena negli anni Ottanta. La scelta di portare, finanche tradurre, un autore noto e apprezzato in gran parte d’Europa, ma pressoché sconosciuto in Italia, è indubbiamente apprezzabile. Carlo Cecchi si rivela un mattatore sempre credibile nel ruolo del protagonista Yona, mentre una troppo giovane, e a tratti poco coinvolta, Fulvia Carotenuto si presenta nei panni di Leviva. Accurata e intrigante la scelta scenografica di posizionare delle veneziane dinanzi il pubblico creando un effetto di intrusione, di intimità violata. Uno spettacolo che merita di essere visto.

L'elogio della folle lucidità di Enrico IV - in scena fino a domani 26 ottobre 2014

25.10.2014 18:08

Franco Branciaroli continua la sua indagine sui grandi personaggi del teatro portando sulla scena, da regista e attore, l’Enrico IV di Luigi Pirandello, un'opera che compie quasi cent'anni eppure non smette di essere affascinante. Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello, insieme a Sei personaggi in cerca di autore, Enrico IV è uno studio dell'autore sul tema della follia e sul rapporto, complesso e alla fine intricato tra attore e personaggio, finzione e realtà. La messa in scena della paradossale e tragicomica esistenza umana.

Sebbene accompagnato in scena da altri attori, quali Tommaso Cardarelli, Melania Giglio, Daniele Griggio, Giorgio Lanza, Valentina Violo, Antonio Zanoletti,  quest'attore dallo straordinario dominio e gioco vocale rende sfocate le figure che lo attorniano. Dopo un primo atto non sempre avvincente, si è coinvolti e come ipnotizzati dal monologo del protagonista sulla sua finta demenza e su come sia in realtà molto labile il confine fra ciò che si vede e ciò che invece si vuol non vedere.

Un testo forse riproposto in modo troppo fedele. Uno spettacolo comunque da elogiare, complice la recitazione epica e al tempo stesso ricca di modulazioni vocali di Branciaroli che ben segue le orme di Ruggero Ruggeri, destinatario pirandelliano del ruolo di Enrico IV.

Solo una cosa non è borghese: morire.

01.12.2013 20:03

Progetto scritto a più mani, diretto da Carmelo Rifici, che dà voce ai parenti delle vittime di atti di terrorismo e della mafia. Piccole diverse storie si susseguono: illustrano l'elaborazione di un unico lutto e  della  ricerca di un senso della morte vissuta indirettamente dai parenti delle vittime. 

Soggetto faticoso da elaborare e da rendere scenicamente, è frutto di una ricerca fatta in Sicilia, attraverso testimonianze dirette e consultazione di materiale scritto, durata ben un mese. Testi efficaci, attori giovani e capaci: Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Pollini e Caterina Carpio; ed una drammaturgia del corpo scritta da un bravissimo Alessio Maria Romano per il capitolo "La fine del lutto - Ora è qui", interpretata da Caterina Carpio .  

Ogni "fase"  si svolge  come su un ring in cui avviene  l'incontro/scontro con l'altro; con la verità e l'ipocrisia, con il dolore e la rabbia, con la curiosità e l'accettazione fino a giungere alla richiesta disperata di perdono da parte di un attentatrice. Lo spettatore condivide un lutto che diviene collettivo, un racconto di morte innaturale che mette a disagio, un percorso frammentato ma intenso che mostra uno spaccato, ahimè, di cronaca nazionale. La durata è di un'ora e quaranta minuti, forse un tempo troppo lungo per tenere la tensione dello spettatore sempre viva e costante; resta comunque una messa in scena interessante da vedere.

Qual è il tuo cibo preferito? (…) pane e amore

21.11.2013 23:34
L’Âge mûr nié
uno studio teatrale
dalle lettere di Camille Claudel

Una grazia e una voce che hanno sciolto come cera, il marmo  che le circondava; una Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale che ha preso vita grazie al pathos ed alla magia prodotta da una lettura poetica.

La bravura di Elena Russo Arman non sorprende e per nulla scontata risulta essere, in questo happening teatrale, la sua versatilità e capacità di arrivare ad un pubblico che, ignaro di ciò che stesse accadendo a pochi passi da lui, si aggirava tra un’opera e l’altra del museo...per poi finire attratto, inevitabilmente, dalla sua voce incantatrice  e ammaliatrice di sirena.

Il suo corpo, un abito semplice, delle piccole luci. Una suggestione fantastica.  Una scultura vivente che facendo pochi passi su una pedana di legno ha dato vita e voce all’amore nato e finito tra Camille Claudel e Auguste Rodin. Per un attimo il pubblico ha condiviso la passione, l’innocenza, il disagio e la disperazione dell’artista francese; non potendo non provare commozione ed empatia verso gli occhi di una donna che si posavano prima sull’uno poi sull’altro…implorando amore a volte e provocando con sottile ironia altre.

Una piccola fuga dalla realtà che ha dato quel tocco in più a una mostra molto interessante. Purtroppo non ci saranno repliche di questa opera dal sapore un pò estemporaneo.

 

Un Don Chisciotte poco Pop

17.11.2013 21:33

Il titolo risulta essere un po’ fuorviante. Non  v’è nulla di pop nel repertorio musicale scelto o nel testo drammaturgico recitato. Si nota qualche traccia di modernità nelle scenografie metropolitane fatte di copertoni e lamiere e nell’anno scelto per l’ambientazione: il 1969 il giorno dello sbarco sulla luna. Ci si aspetta di trovare in platea un  pubblico giovane e curioso, ma ci s’imbatte in spettatori la cui età media è vicina a quella dei  due attori  protagonisti: mattatori  del palcoscenico con  un “trentennio” di esperienza alle spalle.

 

 

Detto ciò lo spettacolo è un mix di cabaret, commedia dell’arte, musical e recital cantato…Leggero e d’intrattenimento, ha pochi momenti lirici che ricordino il testo di Cervantes,  a cui s' ispira liberamente  lo spettacolo, dispersi nella moltitudine di sketches di indubbia comicità.

 La  voce di Don Chisciotte è suadente e perfetta per un eroe, lo interpreta infatti il doppiatore  Alarico Salaroli, la cui fisicità stride non poco con la figura mitica del protagonista...che sembra esser arrivato al tempo della pensione. Il suo alter ego, Sancho Panza, è interpretato dall’attore comico Marco Balbi. I due si lasciano di tanto in tanto andare a intramezzi musicali che richiamano il filone di canzone comica portata in auge negli anni ’70 da Ric e Gian.

 

Accanto a una debole coerenza testuale e recitativa, salvano lo spettacolo i bravissimi Musicisti del Toboso: il pianista Alessandro Nidi, il chitarrista Enrico Ballardini, la contrabbassista Francesca Li Causi e la cantante Helena Hellwig  (Dulcinea) il cui percorso artistico è stato  apprezzato da artisti del calibro di Caterina Caselli, Andrea Bocelli ed Ennio Morrcone. Le note blues scritte e dirette da Alessandro Nidi non sono solo un sottofondo allo spettacolo  ma ne diventano parte integrante.  Performers frizzanti ed efficaci, interagiscono e giocano costantemente con i due attori professionisti, agiscono da collante  tra  la parte puramente musicale e quella esclusivamente recitata; trasportano lo spettatore in un’atmosfera magica da musical.

Spettacolo complessivamente ben riuscito grazie alla bravura degli interpreti seppur  risulti a tratti confuso, se non addirittura fragile, il progetto registico. Un’occasione per trascorrere un pomeriggio a teatro…con  genitori e nonni;  sarà in scena fino al 28 novembre presso il Teatro Menotti di Milano. 

 

Indizi ...nei Materiali per Medea

17.11.2013 14:27

Lo spettacolo si apre con “Riva abbandonata” in cui una donna, drogata ed emarginata, è vestita come una prostituta. Le sue parole sono frammenti;  tagliente e stridente è la sua voce. Un corpo nudo e senza pudore, due occhi che non smettono vai di avere un contatto con il pubblico, quasi a volerlo accusare di avere lui causato il disagio in scena.

Inizio un po’ criptico, lo spettatore si trova spaesato: è Medea la donna?Dove siamo? Perché lei si mostra a noi? Il clima resta relegato a quello di un peep show. Un lungo e poco interessate finale è scandito da un balletto “erotico”.

La seconda parte:  “Materiale per Medea”, porta la stessa donna ad inserirsi in un paesaggio multimediale, una sala teatrale che la ascolta silenziosa, in attesa di un finale di cui però non immagina né intuisce il risvolto tragico. Un teatro nel teatro con interessanti scelte scenografiche e materiale audio-video.

“Paesaggio con Argonauti” è l’ultimo atto. Qui il personaggio appare più chiaro e leggibile nel farsi espressione della sinfonia tragica con cui Müller  fa a brandelli la figura di Medea che s’immerge in un humus di sensazioni e sentimenti, infangandosi nella sua rabbia e vendetta.

Una regia che non riesce ad unire i tre racconti Mülleriani e che ha come unico gioco forza la presenza scenica e l’indubbia capacità attoriale di Mariangela Granelli. Ella intraprende un viaggio, il compagno muto ma partecipe è il pubblico. Il suo personaggio si definisce a poco a poco, riuscendo comunque e sempre ad instaurare un dialogo, uno scambio di emozioni con la platea. Esperimento ben riuscito è quello della protagonista di trasmettere una frammentazione psicologica insita nel personaggio di Medea originale e Mülleriano; un po’ troppo solipsistico il ritmo e l’adattamento drammaturgico adottato da Rifici nei confronti di un testo, già di per sé molto elaborato. Risultato: la parola dell’autore risulta esclusivamente crudele ed autodistruttiva; sovrasta  un percorso logico temporale che ha traccia così, solo nell’opera scritta.

Quante verità può sopportare un uomo?

16.11.2013 22:47

"E non esiste un tempo passato, e nemmeno un tempo futuro ma: il mio tempo"

Un faro puntato sulla platea confonde lo spettatore. Chi è al centro della scena? Chi non pensa di aver mai pensato le parole urlate, sussurate, cantate da un'esile e giovane attrice che con estremo impegno fisico corre e ripercorre le tappe del disagio psichico e fisico di un io comune?

"Si fa l’abitudine a tutto e in quel momento ci siamo persi"

Attimi di tragica ironia portano a sorridere e un attimo dopo a stringersi nella poltrona di velluto rosso, perchè  si assiste alla disperata caduta e ricaduta di un malato, chiuso e bloccato in una gabbia. Rincorso e percosso da un medico inetto o dai fantasmi della sua mente.

"E' difficile essere una rivoluzionari se si è messi sempre spalle al muro "

Uno spettacolo di forte impegno sociale, una denuncia, una preghiera: a Dio o all’uomo?Sta a noi scegliere come interpretarla. Il palcoscenico è un ring dove i protagonisti urlano, si sfidano e lottano. Un testo che scuote e non lascia indifferenti. Una protagonista, Margherita Ortolani, magnetica, affascinante ed esplosiva viene affiancata da Vito Bartucca al quale spetta il compito ingrato di incarnare l'uomo che asseconda unicamentei suoi meri bisogni fisiologici e sessuali prima e il medico carnefice e sadico dopo. Una prossemica viva e violenta.

Un'ora intensa che scorre su un ritmo sincopatico simila a quello del cuore di chi  ascolta questa singola ma purtroppo fin troppo riconoscibile voce umana.

"Abbiamo perso la battaglia ma vinceremo la guerra!"

Una preghiera, un appello disperato che lascia comunque traccia di un messaggio di speranza, che arriva  a chi non basta esprimere un pensiero, ma vuole reagire ed essere l'eccezione. 

 

 

 

 


 

Primo blog

16.11.2013 22:41

Oggi abbiamo inaugurato il nostro nuovo blog. Continuate a frequentarlo e vi terremo aggiornati. Potrete leggere i nuovi post del blog tramite il feed RSS.

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